giovedì 26 gennaio 2012

La Torre Saracena di Bordighera: l'angolo perduto di Monet

Quando nel dicembre del 1883 il pittore Claude Monet in compagnia dell’amico Auguste Renoir, fu di passaggio  in Liguria fu talmente colpito dagli aspetti esotici, dalla vegetazione lussureggiante e dalla luce unica del Ponente Ligure che ne rimase affascinato.

Nel gennaio dell’anno successivo decise quindi di ritornare da solo per riportare sulla tela gli stupendi  colori e paesaggi del Mediterraneo che l’avevano affascinato. Le luci ed i colori di Bordighera la colpirono a tal punto da ispirare ben 38 dipinti della cittadina e dei sui dintorni.

Claude Monet: "La valle di Sasso, effetto blu" (Collezione Privata)
Risalendo la valle verso Sasso rimase estasiato dal paesaggio e dai colori che gli si presentarono attorno alla Torre Saracena, una torre di guardia del XVI secolo, che sorge vicino al cimitero degli inglesi tanto che volle dedicargli una bellissima tela nella quale la vecchia torre appare immersa in uno spettacolare sfondo blu.

Se oggi, a distanza di oltre 100 anni fosse tornato in quei posti non gli avrebbe neppure degnati di  uno sguardo. Quel paesaggio non solo ha perso il fascino che aveva ma addirittura presenta una diffusa condizione di  degrado. Cadenti serra nascondono parte della vecchia torre e la collina appare spoglia ed insignificante.
Torre Saracena, soggetto del dipinto di Monet, oggi
Un altro angolo della Liguria è irrimediabilmente scomparso, per fortuna che ci rimane ancora la tela di Monet ad emozionarci ancora.

La torre saracena vista dall'alto dal  sentiero del Beodo



mercoledì 18 gennaio 2012

L'ecomostro del Funtanin


Anche Ventimiglia ha avuto il suo ecomostro, non che adesso non ce ne siano più, ma quello, sorgendo sulla collina subito sopra il forte dell’Annunziata, aveva un impatto notevole sul profilo della costa deturpando un paesaggio tra i più belli del ponente ligure. Mi riferisco al palazzone di molti piani, una casa popolare dell’Ina-casa costruita nel 1954, che si può distintamente vedere sulla sinistra nella fotografia risalente agli anni ’50 del secolo scorso. Probabilmente sarebbe stato ancora lì se una frana non lo avesse abbattuto pochi anni dopo la sua costruzione agli inizi degli anni ’60.

Due immagini a confronto:  quella a sinistra anni '50 a destra oggi. Sono scomparsi il palazzone Ina-Casa e la vecchia caserma dei Bersaglieri diventata ospedale di Santo Spirito.
Quella frana è nota come la frana del Funtanin dal nome della zona che ha interessato con lesioni sempre più preoccupanti fin dai tempi più remoti ma che sono divenute estremamente pericolose nell’autunno del 1959 tanto che “la commissione ha riscontrato lesioni nella massima parte delle strutture principali portanti dell’ossatura in cemento armato. Successivamente, estendendo l’esame all’edificio adibito ad orfanatrofio, a quello dell’ospedale civile , ai muri di sostegno della passeggiata Fontanin, della sottostante via Aurelia, della palestra della scuola di Avviamento Professionale, ed in complesso di tutti gli edifici ed opere esistenti nella zona a sud ed ad est del fabbricato Ina-Case, la commissione ha constatato che tutta la zona è interessata da un vasto movimento franoso con aspetti preoccupanti” . Subito dopo quell’evento furono messi in atto alcuni provvedimenti, principalmente volti alla salvaguardia della strada sottostante attraverso la quale passava allora tutto il traffico automobilistico per la Francia, che non ebbero però un effetto risolutivo e che tamponarono la situazione per un paio di anni. Nell’autunno del 1961 gli eventi precipitarono tanto da richiedere lo sgombero dell’ospedale di Santo Spirito che era divenuto pericolante, il suo abbattimento e l’abbattimento di altre costruzioni della zona tra cui quel  palazzone Ina-Casa che ancora si può vedere nella fotografia sottostante.  

Marina San Giuseppe, anni '50. Sullo sfondo il palazzone Ina-casa che sovrasta il forte dell'Annunziata.

Ecco come quell’evento veniva ricostruito dal cronista de La Stampa alla fine del 1961 quando la situazione ormai divenuta insostenibile richiese l’adozione di  decisioni ed interventi drastici ed urgenti: “La storia della frana sulla via Aurelia in località Funtanin (a occidente di ventimiglia, in direzione del valico di Ponte San Luigi) è vecchia di due anni. La scarsità di fondi, le esitazioni della burocrazia, le rigide divisioni di competenze, l’hanno trascinata fino ad un epilogo che, se non avvengono prodigi, sarà disastroso quanto assurdo. Nel 1959 una parete di roccia e di argilla su cui era intagliata la via Aurelia cominciò a cedere, scivolando verso il mare, che si vede a picco, sotto brevi terrazze di garofani. Dopo violente piogge la frana travolse la strada nazionale; il traffico da e per la Francia fu avviato su una ripidissima “variante”, a senso unico alternato, poche centinaia di metri più in alto. Intanto la collina intera si muoveva: è una massa di roccia posta su falde argillose, inumidite e spinte verso il mare da grandi riserve sotterranee  d’acqua, alimentate regolarmente dalle piogge autunnali e invernali. Crollò una parete di una scuola, crollarono diverse abitazioni, cominciò a dar segni di cedimento l’ospedale di Santo Spirito, un grande fabbricato moderno posto quasi sulla sommità della parete, esattamente sulla verticale della frana che aveva travolto la via Aurelia.” 

Marina San Giuseppe, oggi. Sullo sfondo solo il forte dell'Annunziata.
(Nota: Il testo in corsivo è tratto dal giornale La Stampa)

sabato 7 gennaio 2012

Isolabona e vecchi molini

Veduta del paese dal Santuario della Madonna delle Grazie: a sinistra dipinto del XVIII secolo, a destra primi anni 2000.
Una suggestiva veduta di Isolabona dipinta nel XVIII secolo (si trova nel Santuario della Madonna delle Grazie di Isolabona ed è probabilmente opera del pittore sanremese Bartolomeo Asmio) messa a confronto con una foto (quasi) dei giorni nostri (di una decina di anni) ci fa vedere quanto  poco si è trasformata l’immagine del paese in quasi trecento anni di storia. 

In primo piano, su entrambi le vedute, è possibile riconoscere oltre al castello sulla sinistra, la cui torre appare oggi in parte crollata, ed il campanile al centro,  anche  il vecchio molino “de Censu” con l’ultimo tratto pensile del “beu del Ruau” (la serie di archi sulla sua sinistra oggi non più visibili) ovvero il canale che alimentava la sua ruota idraulica. Il frantoio che era ospitato al piano semi-interrato del grande ed isolato edificio costruito sulla sponda del torrente Nervia ai margini dell’abitato, ma in posizione centrale, al quale si accede da via Molino o dall’area dei parcheggi e degli impianti sportivi.

Suggestiva è anche l’immagine seguente che mostra l’antico frantoio “de Censu” (l’edificio con le aperture ad arco) come appare in due fotografie riprese dal ponte medievale la prima nel 1886 e l’altra oggi.

Frantoio de Censu visto dal ponte medievale: a sinistra da una fotografia del 1886, a destra da un'immagine del 2011

Questo frantoio anticamente era probabilmente un molino a grano. Era alimentato ad acqua che era prelevava dal torrente Nervia qualche centinaia di metri a monte e trasportata dal “beu del Ruau”, canale che fu presumibilmente interrotto nel 1932 a seguito della costruzione del nuovo ponte sul Nervia. Il frantoio fu chiuso negli anni ’50. 

Oggi, ristrutturato, è stato trasformato in un negozio con degustazione di prodotti tipici denominato “Antico Frantoio”.



domenica 25 dicembre 2011

Quei dipinti portati via dal vento


Due immagini a confronto del Santuario delle Grazie di Isolabona praticamente uguali, ma a guardar bene qualcosa di diverso c’è nella facciata della chiesa riprodotta nella foto in basso: sul frontone non ci sono più i dipinti che invece sono visibili nell’altra, ed il motivo della scomparsa non è il tempo che è inesorabilmente trascorso tra le due foto. La  foto in alto risale infatti ai primi anni del 1920, mentre quella in basso è di quasi cento anni più recente essendo stata scattata pochi mesi fa, all’inizio del 2011. 


Santuario della Madonna della Grazie di Isolabona: in alto una foto del 1920 circa in basso come appare oggi
In questo lungo intervallo, dopo essere sopravvissuta alla seconda guerra mondiale che pur produsse dei danni notevoli anche a questo Santuario, un evento naturale avvenuto nel 1962  ne provocò una ferita  gravissima: un violentissimo temporale accompagnato da forti venti produsse il crollo dell’alto frontone a vela esposto a tramontana che cadendo produsse ingenti danni anche al porticato sottostante. 

Crollo del frontone causato da un temporale nel 1962 (Rivista Ingauna Intemelia Anno XIX N. 1-4)
Quel frontone non apparteneva alla costruzione originaria la cui costruzione risale alla fine del XV secolo o agli inizi del secolo successivo, ma ad una ristrutturazione della chiesa effettuata nel secolo XVII che comprendeva la realizzazione della facciata col portale dorico sovrastata dall’altro frontone che sembra non trovare riscontro nella Liguria di Ponente e che potrebbe essere una derivazione di modelli pedemontani arrivati fino a qui attraverso i passi alpini e passando da Pigna.

Nella sua versione originale tale frontone era decorato a fini tinte barocche con la Vergine al centro e con figure di Santi ai lati sovrastate da un classico Monogramma Mariano composto dalle lettere MA sovrapposte, allusive al nome di Maria, Madre di Gesù. Esempi delle figure dei Santi che decoravano il frontone sono ancora visibili nella decorazione del portico sottostante, forse più recente o ridipinta, che reca sulla sua sommità una scritta in latino dialettale.

Portico con dipinto di santo
Dopo il crollo del 1962 il frontone è stato ricostruito ricopiandone le forme originali senza però riprodurre le figure della Vergine e dei Santi che prima lo decoravano per cui adesso si presenta completamente disadorno.

Santuario della Madonna delle Grazie, Isolabona (IM)


sabato 24 dicembre 2011

Quella caserma scomparsa dal Funtanin


Al Funtanin,  poco dopo Porta Nizza, fuori della cinta murata di Ventimiglia Alta, è ancora ben visibile la ferita che si è venuta a creare a seguito della scomparsa della vecchia caserma dei Bersaglieri che lì c’era fin dal 1896. 


La Caserma dei Bersaglieri sullo sfondo di una Marina San Giuseppe quasi irriconoscibile (Primo dopoguerra)


Caserma dei Bersaglieri attorno al 1912. Al suo posto oggi rimane una grande ferita adibita a parcheggio
Sorgendo quasi a picco sulla costa la caserma era ben visibile anche dal mare e dal sottostante borgo della  Marina San Giuseppe.
Nella foto In alto, ripresa dalla spiaggia di Marina San Giuseppe (fine anni 1950) era ben visibile la caserma, che oggi (2011), foto in basso, non c'è più.
Oggi il degrado presente in quella zona è evidente,  ma allora e per molti anni a seguire ha rivestito un ruolo importante per la vita militare e civile della città di Ventimiglia.
Per la verità la storia di quell’edificio non è stata delle più tranquille. Già durante i lavori di costruzione delle fondamenta, poco dopo il 1892, erano sorti dei problemi a causa delle infiltrazioni di acqua dalla falda acquifera prospiciente che rendeva quel toponimo, Funtanin,  quanto mai corretto. 
Allora ci si illuse di poter arginare la falda impiegando calcestruzzo e materiale da  riporto tanto che l’edificio fu completato e vi furono trasferiti i Bersaglieri che già fin dal 1892 erano di stanza a Ventimiglia. La caserma fu operativa fino al primo dopoguerra poi a causa dei problemi di stabilità  venne dismessa e rimase  praticamente inutilizzata fino al 1956 quando, certi che le nuove tecnologie avrebbero permesso di contenerne gli squilibri, l’edificio fu ampliato e vi fu trasferito l’Ospedale di Santo Spirito che precedentemente occupava l’ormai  insufficiente edificio ricavato nel complesso del Monastero Lateranense subito sopra porta Nuova.
Le nuove tecnologie edilizie non furono tuttavia sufficienti a fermare la falda acquifera che avanzando nella zona causò solo cinque anni dopo, nel 1961,  un forte movimento franoso che impose  lo sgombro dell’ospedale e l’abbattimento dell’edificio.
Nella foto in alto di inizio anni 1960, si vede sulla destra in basso la caserma ormai trasformata in ospedale, con alla sua sinistra l'edificio già sede dell'Orfanatrofio. Nella foto in basso cosa appare oggi.
Dei  due grandi edifici che occupavano quella zona riuscì a salvarsi solo l’ampia  costruzione che lo sovrastava, nella quale trovava l’orfanatrofio di San Secondo, che ancora si può vedere nelle fotografie della zona.

mercoledì 21 dicembre 2011

Antichi carrugi di Dolceacqua.

Salita al Castello: una immagine di inizio '900 a confronto con una dei giorni nostri
Dolceacqua ieri ed oggi, due immagini a confronto della “Salita al Castello”. La prima probabilmente risale ai primi anni del ‘900 ed è tratta da un articolo di Nino Lamboglia pubblicato nel 1950 dalla Rivista Ingauna e Intemelia dal titolo “Restauri e brutture a Dolceacqua”, mentre l’altra è recentissima (febbraio 2011).

Evidenti le differenze ed il buon lavoro di recupero fatto malgrado la nascita di alcuni “corpi estranei” sulle case prospicienti. Quello che invece è andato perso per sempre è stato un tipico particolare della vecchia Liguria: il secolare ciottolato che è stato sostituito con corsie di mattoni estranee alle sue tradizioni. Purtroppo questa abitudine è stata presa ad esempio da molti in molti altri paesi del ponente ligure in tempi passati e ultimamente anche per i lavori di restauro del borgo medievale di Ventimiglia Alta.

Quando  invece sono state conservate le tradizioni i risultati appaiono indubbiamente notevoli. Ecco due esempi sempre nel borgo antico (La Terra) di Dolceacqua.

Carrugiu di Dolceacqua
Carrugiu di Dolceacqua

lunedì 19 dicembre 2011

La chiesa romanica di San Pietro di Camporosso

A sinistra: Acquarello di Daniel Hanbury, 1870 - a destra: come si presenta oggi, 2011























Il tempo sembra non essere trascorso e questa chiesa mantiene oggi lo stesso fascino che più di un secolo fa, nel 1870, ispirò Daniel Hanbury, il fratello  del più noto mecenate ventimigliese Thomas, a immortalarne le forme in uno splendido acquarello. 

Dedicata a S. Pietro e risalente al XI secolo è tra le più semplici e meglio conservate chiese romaniche della Riviera di Ponente. Come molti monumenti della Val Nervia anche questo è forse sconosciuto ai più essendo quasi nascosto all’interno del cimitero a qualche centinaio di metri a nord del paese di Camporosso.  Vale la pena visitarlo, ma bisogna cercarlo di proposito. 

Notevole è la conservazione dell’abside originale anche nella sua copertura in lastre di pietra arenaria esempio tipico dei tetti absidali di età romanica e pure notevole è il campanile in pietra che nella parte bassa mostra due grossi blocchi  angolari in pietra della Turbia certamente recuperati da precedenti edifici romani e forse addirittura asportati dalla vicina antica città romana di Albintimilium. 

Il resto della chiesa ha subito notevoli trasformazioni ed ampliamenti essenzialmente nel corso dei secoli XIV e XV. Al suo interno si conservano ancora dei notevoli affreschi risalenti al XV secolo che ornano sia il catino absidale che la base del campanile sulla sua sinistra.

Interno della chiesa, sullo sfondo il catino absidale affrescato.


Per saperne di più consiglio di leggere l’interessante articolo di Francisca Pallarès pubblicato nella Rivista di Studi Liguri LIX – LX, 1993 – 1994 pp. 407 – 440.