domenica 25 dicembre 2011

Quei dipinti portati via dal vento


Due immagini a confronto del Santuario delle Grazie di Isolabona praticamente uguali, ma a guardar bene qualcosa di diverso c’è nella facciata della chiesa riprodotta nella foto in basso: sul frontone non ci sono più i dipinti che invece sono visibili nell’altra, ed il motivo della scomparsa non è il tempo che è inesorabilmente trascorso tra le due foto. La  foto in alto risale infatti ai primi anni del 1920, mentre quella in basso è di quasi cento anni più recente essendo stata scattata pochi mesi fa, all’inizio del 2011. 


Santuario della Madonna della Grazie di Isolabona: in alto una foto del 1920 circa in basso come appare oggi
In questo lungo intervallo, dopo essere sopravvissuta alla seconda guerra mondiale che pur produsse dei danni notevoli anche a questo Santuario, un evento naturale avvenuto nel 1962  ne provocò una ferita  gravissima: un violentissimo temporale accompagnato da forti venti produsse il crollo dell’alto frontone a vela esposto a tramontana che cadendo produsse ingenti danni anche al porticato sottostante. 

Crollo del frontone causato da un temporale nel 1962 (Rivista Ingauna Intemelia Anno XIX N. 1-4)
Quel frontone non apparteneva alla costruzione originaria la cui costruzione risale alla fine del XV secolo o agli inizi del secolo successivo, ma ad una ristrutturazione della chiesa effettuata nel secolo XVII che comprendeva la realizzazione della facciata col portale dorico sovrastata dall’altro frontone che sembra non trovare riscontro nella Liguria di Ponente e che potrebbe essere una derivazione di modelli pedemontani arrivati fino a qui attraverso i passi alpini e passando da Pigna.

Nella sua versione originale tale frontone era decorato a fini tinte barocche con la Vergine al centro e con figure di Santi ai lati sovrastate da un classico Monogramma Mariano composto dalle lettere MA sovrapposte, allusive al nome di Maria, Madre di Gesù. Esempi delle figure dei Santi che decoravano il frontone sono ancora visibili nella decorazione del portico sottostante, forse più recente o ridipinta, che reca sulla sua sommità una scritta in latino dialettale.

Portico con dipinto di santo
Dopo il crollo del 1962 il frontone è stato ricostruito ricopiandone le forme originali senza però riprodurre le figure della Vergine e dei Santi che prima lo decoravano per cui adesso si presenta completamente disadorno.

Santuario della Madonna delle Grazie, Isolabona (IM)


sabato 24 dicembre 2011

Quella caserma scomparsa dal Funtanin


Al Funtanin,  poco dopo Porta Nizza, fuori della cinta murata di Ventimiglia Alta, è ancora ben visibile la ferita che si è venuta a creare a seguito della scomparsa della vecchia caserma dei Bersaglieri che lì c’era fin dal 1896. 


La Caserma dei Bersaglieri sullo sfondo di una Marina San Giuseppe quasi irriconoscibile (Primo dopoguerra)


Caserma dei Bersaglieri attorno al 1912. Al suo posto oggi rimane una grande ferita adibita a parcheggio
Sorgendo quasi a picco sulla costa la caserma era ben visibile anche dal mare e dal sottostante borgo della  Marina San Giuseppe.
Nella foto In alto, ripresa dalla spiaggia di Marina San Giuseppe (fine anni 1950) era ben visibile la caserma, che oggi (2011), foto in basso, non c'è più.
Oggi il degrado presente in quella zona è evidente,  ma allora e per molti anni a seguire ha rivestito un ruolo importante per la vita militare e civile della città di Ventimiglia.
Per la verità la storia di quell’edificio non è stata delle più tranquille. Già durante i lavori di costruzione delle fondamenta, poco dopo il 1892, erano sorti dei problemi a causa delle infiltrazioni di acqua dalla falda acquifera prospiciente che rendeva quel toponimo, Funtanin,  quanto mai corretto. 
Allora ci si illuse di poter arginare la falda impiegando calcestruzzo e materiale da  riporto tanto che l’edificio fu completato e vi furono trasferiti i Bersaglieri che già fin dal 1892 erano di stanza a Ventimiglia. La caserma fu operativa fino al primo dopoguerra poi a causa dei problemi di stabilità  venne dismessa e rimase  praticamente inutilizzata fino al 1956 quando, certi che le nuove tecnologie avrebbero permesso di contenerne gli squilibri, l’edificio fu ampliato e vi fu trasferito l’Ospedale di Santo Spirito che precedentemente occupava l’ormai  insufficiente edificio ricavato nel complesso del Monastero Lateranense subito sopra porta Nuova.
Le nuove tecnologie edilizie non furono tuttavia sufficienti a fermare la falda acquifera che avanzando nella zona causò solo cinque anni dopo, nel 1961,  un forte movimento franoso che impose  lo sgombro dell’ospedale e l’abbattimento dell’edificio.
Nella foto in alto di inizio anni 1960, si vede sulla destra in basso la caserma ormai trasformata in ospedale, con alla sua sinistra l'edificio già sede dell'Orfanatrofio. Nella foto in basso cosa appare oggi.
Dei  due grandi edifici che occupavano quella zona riuscì a salvarsi solo l’ampia  costruzione che lo sovrastava, nella quale trovava l’orfanatrofio di San Secondo, che ancora si può vedere nelle fotografie della zona.

mercoledì 21 dicembre 2011

Antichi carrugi di Dolceacqua.

Salita al Castello: una immagine di inizio '900 a confronto con una dei giorni nostri
Dolceacqua ieri ed oggi, due immagini a confronto della “Salita al Castello”. La prima probabilmente risale ai primi anni del ‘900 ed è tratta da un articolo di Nino Lamboglia pubblicato nel 1950 dalla Rivista Ingauna e Intemelia dal titolo “Restauri e brutture a Dolceacqua”, mentre l’altra è recentissima (febbraio 2011).

Evidenti le differenze ed il buon lavoro di recupero fatto malgrado la nascita di alcuni “corpi estranei” sulle case prospicienti. Quello che invece è andato perso per sempre è stato un tipico particolare della vecchia Liguria: il secolare ciottolato che è stato sostituito con corsie di mattoni estranee alle sue tradizioni. Purtroppo questa abitudine è stata presa ad esempio da molti in molti altri paesi del ponente ligure in tempi passati e ultimamente anche per i lavori di restauro del borgo medievale di Ventimiglia Alta.

Quando  invece sono state conservate le tradizioni i risultati appaiono indubbiamente notevoli. Ecco due esempi sempre nel borgo antico (La Terra) di Dolceacqua.

Carrugiu di Dolceacqua
Carrugiu di Dolceacqua

lunedì 19 dicembre 2011

La chiesa romanica di San Pietro di Camporosso

A sinistra: Acquarello di Daniel Hanbury, 1870 - a destra: come si presenta oggi, 2011























Il tempo sembra non essere trascorso e questa chiesa mantiene oggi lo stesso fascino che più di un secolo fa, nel 1870, ispirò Daniel Hanbury, il fratello  del più noto mecenate ventimigliese Thomas, a immortalarne le forme in uno splendido acquarello. 

Dedicata a S. Pietro e risalente al XI secolo è tra le più semplici e meglio conservate chiese romaniche della Riviera di Ponente. Come molti monumenti della Val Nervia anche questo è forse sconosciuto ai più essendo quasi nascosto all’interno del cimitero a qualche centinaio di metri a nord del paese di Camporosso.  Vale la pena visitarlo, ma bisogna cercarlo di proposito. 

Notevole è la conservazione dell’abside originale anche nella sua copertura in lastre di pietra arenaria esempio tipico dei tetti absidali di età romanica e pure notevole è il campanile in pietra che nella parte bassa mostra due grossi blocchi  angolari in pietra della Turbia certamente recuperati da precedenti edifici romani e forse addirittura asportati dalla vicina antica città romana di Albintimilium. 

Il resto della chiesa ha subito notevoli trasformazioni ed ampliamenti essenzialmente nel corso dei secoli XIV e XV. Al suo interno si conservano ancora dei notevoli affreschi risalenti al XV secolo che ornano sia il catino absidale che la base del campanile sulla sua sinistra.

Interno della chiesa, sullo sfondo il catino absidale affrescato.


Per saperne di più consiglio di leggere l’interessante articolo di Francisca Pallarès pubblicato nella Rivista di Studi Liguri LIX – LX, 1993 – 1994 pp. 407 – 440.